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Parma, Osteria dello Zingaro. La zappa sui piedi.

16 Mar

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L’Osteria dello Zingaro è in uno dei borghi più belli di Parma, quello dedicato a uno dei due pittori più rappresentativi del valore artistico della “piccola Parigi” e che lì a due passi rese immortale la cupola di San Giovanni Evangelista: il Correggio. Due sale nel piano terra di un palazzo antico: forse un’antica carbonaia, o una rimessa, con belle volte a crociera e pilastri spessi. Arredamento sobrio e piacevole, un bel bancone all’ingresso dove ammirare tagli di carne equina e salumi odorosi di ricordi e tradizioni centenarie.

Ma andiamo al dunque: in una carta, lo premetto, poco adatta ai vegetariani, ci lanciamo decisi su piatti classici del territorio e ne siamo rimasti convinti. Culaccia veramente ottima (ricordo che la culaccia, o culatta come dicono i raffinati, non è culatello, ma lo stesso taglio di carne stagionato nella cotenna e non insaccato), tortelli d’erbetta fatti a mano, doviziosamente affogati nel burro e più che sufficientemente irrobustiti dal parmigiano. Tris di cavallo, con roast beef, pesto condito e tartare: un tripudio assolutamente rappresentativo del luogo, nettamente superiore alla poco significativa lonza di maiale con mele dall’aspetto Lufthansa ordinata dal mio commensale. Si, quei piatti che servono sulle linee aeree germaniche, perchè fanno international, ma non raccontano niente e sanno di meno. Lambrusco Nebbia & Sabbia, un neoclassico dell’enologia emiliana.

E, parafrasando l’Odio, “fino a qui tutto bene”. Ma veniamo alle note dolenti, purtroppo più numerose di quanto meriterebbe la cucina. Innanzitutto l’accoglienza: a un cliente prenotato, in orario perfetto, già potrebbe storcersi il deretano per un laconico “5 minuti per favore”, ma non sono il tipo. Se i 5 diventano 20 perlomeno offrire due fette di salame e un bicchiere di malvasia sarebbe indice di civiltà, ma forse è stata complice la distrazione dovuta al sottostante punto.

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Parma low cost: il “Battibecco”, anolini e lambrusco di periferia

29 Dic
img: tripadvisor.it

img: tripadvisor.it

Il Battibecco, in via Lanfranco, è un locale piuttosto anomalo nella tanto celebrata (ormai purtroppo a sproposito) tradizione culinaria parmigiana: lontano dal centro storico, quasi ghettizzato in una poco piacevole strada di un ex quartiere artigianale, propone i classici senza essere integralista e, soprattutto, a prezzi che normalmente si trovano solo in provincia.

Negli anni ’90 era un noto locale, il “Tube”, ora, dove prima viaggiavano i piatti dei Dj, si posano piatti di anolini in brodo (ottimi), tortelli e polpette di cavallo, oltre alla specialità della casa, la tagliata con patate. Ambiente particolare: tanto anonimo l’esterno quanto caloroso l’interno, disseminato di Giuseppe Verdi, tovaglie a quadri, tavolacci, poltronacce, sediacce e parolacce. L’ampiezza della sala principale lo rende particolarmente adatto a nutrite “sedute” con amici che quando poi gli animi son riscaldati dal brodo e dal vino, si sa che la conversazione s’accende e la coppietta romantica nell’angolo rischia di venir sommersa dalle risate.

Servizio puntuale e volenteroso, vista la moltitudine affamata del week end: talvolta si aspetta un pochino ma non si viene mai abbandonati. La cucina è generosamente sopra la media del centro, specialmente visto il rapporto qualità prezzo: ma attenzione ai facili entusiasmi, nulla è gratis (a buon intenditor: antipasto, primo, secondo, dolce, caffé… non costano 25 euro). Continua a leggere

Parma: Osteria “La Gatta Matta”, la sperimentazione sfida la tradizione

25 Set

Partirei con il dire che la Gatta Matta si propone come un coraggioso angolo di sperimentazione nel cuore di Parma. Un bell’azzardo aggiungerei. Siamo nella terra degli integralismi gastronomici, ci sono quelli che girano con il calibro in tasca per misurare lo spessore della pasta dei tortelli, quelli che con la coda dell’occhio sono in grado di dirti se i cappelletti sono stati cotti surgelati o freschi, c’è chi in base alla ruvidità del tortello ti sa dire se la pasta è stata tirata a mano oppure a macchina. C’è poi chi finge di capirne, ma comunque sbraita ugualmente, che si sa, siamo un popolo di allenatori, anche in cucina.

La proposta di questa osteria, pur concedendosi ai “caplét” ai tortelli d’erbetta e zucca, si insinua nei dettami gastronomici del territorio e, piegandoli a suo favore, li contamina con guizzi creativi e gusto per gli abbinamenti insoliti. Oltre che matta questa gatta ha del coraggio nel proporre piatti con fantasia e sensibilità davvero speciale, attingendo dal territorio ma anche ispirandosi fortemente a trasgressioni culinarie in un territorio in cui si tiene, e tanto, alla tradizione. E qualche rischio di non essere compresi, in questa terra di Hezbollah culinari, lo si corre.

A due passi dalle sfilate etiliche di via Farini ma ben riparata dalla quiete della piazza dedicata a San Francesco, La Gatta Matta è raccolta e accogliente. Gli interni hanno un’aria vagamente francofona e c’è un quid, nell’ambiente e negli arredi che ricordano un bistrot della rive gauche (e non è forse questa la “Petit Paris”?)

Nella stagione calda i tavolini esterni circondati da cespugli di lavanda e riparati da ruvidi tendaggi, rinfrancano il passante in fuga dal tamarrume di via Cavour. Nelle vettovaglie di melamina in fantasie scompagnate e le lanterne arrampicate sui muri, nel recupero vintage di piccoli contenitori in latta “anteguerra” ad uso posacenere o portacandela si respira un gusto attento del dettaglio che però, tutto sommato, proprio di poco non sfiora l’artificio. Ma ci sta, è un posto gradevole tanto più che la vera sorpresa è nella proposta dei piatti (pochi e ben studiati) che cambia continuamente. Non nell’apparecchiatura ma nel menù si trova infatti la voglia di spostare i paletti tra i fornelli.

Abbiamo provato:

Polpettine fritte di baccalà su crema di sedano: leggere e dal gusto delicato. Talmente delicato, però che non sembrava nemmeno baccalà.

Crumble di verdure con salsa fresca di yogurt: peperoni, zucchine, capperi in croccante gratin che trovano un indovinato incontro con il gusto acidulo della salsa.

Passatelli con zucca, porcini e crema di formaggio di malga: versione asciutta dei passatelli, ottimo connubio di ingredienti, peccato solo che i porcini fossero poco profumati.

Gnocchi con vongole e scaglie di bottarga: un solo difetto, talmente buoni, leggeri e ben mantecati che se ne mangerebbe tranquillamente il doppio.

Ottimo spumante rosè di lambrusco

Non ci siamo spinti ai dolci che, almeno su carta, ispirano sincera fiducia.

Personale affabile, menù ricco di sorprese, una divagazione piena e voluta alla tradizionale (ma piena di sfumature!) offerta del Ducato… Dispiace però dover rilevare che a cotanto spirito non corrisponda la generosità delle porzioni e che il conto proprio per questo motivo possa risultare un tantino elevato.

Consigliato a chi abbia voglia di prendersi una pausa con mood da esploratore, meno a chi va di fretta e abbia solo voglia di riempirsi lo stomaco.

Prezzi: sa partire dai 35 euro, in base al menù descritto

Osteria Gatta Matta

Borgo degli Studi, 9/A – 43100 Parma

0521.231475

Aperto a pranzo e cena (estate solo cena), chiuso domenica e lunedì

Parma: osteria Oste Magno. Tortelli, lambrusco e la Rivoluzione…

23 Set

 

Parma, borgo Angelo Mazza, carrugio che dal clamore pomeridiano di via Cavour instrada il passante verso la bellezza classica del Teatro Regio. Qui sorge, sulle ceneri del fangoso bar Ernesto, l’Oste Magno, esperimento gastronomico e sociale unico per Parma, ma non necessariamente riuscito, sempre che ci fosse alla base un piano.

Dilungarsi sulle implicazioni sociali di un locale che affonda le sue radici nello spirito post sessantottino dei due titolari, permeato però di tradizione parmigiana e con scorci internazionali (sti?) richiederebbe un pamphlet di un centinaio di pagine per cui limitiamoci a dire che qui i poster di Che Guevara anticati osservano benevolmente i tortelli d’erbetta e i taglieri di spalla cotta trangugiati con dovizia da una clientela un po’ radical ma eterogenea, che abbraccia lo studente in cerca del panino giusto (volutamente contrapposto al Panino Ingiusto di Milano), il fotografo dilettante e “l’omet” con coppola amante del lambrusco e dell’ultima pagina della Gazzetta (di Parma, quella dei necrologi).

Pregi: locale onesto, che non finge. Dalla vetrina si evince che l’Oste Magno non offre ricercatezza o grandi esperienze gastronomiche, ma sostanza, celerità e qualità a prezzi non elevati. Il lambrusco è, nero, corposo e si beve a consumo: se non finisci la boccia ti scalano dal conto i bicchieri non bevuti, l’acqua è gratuita, non si paga il coperto. Il salume è buono, sia il prosciutto, che la coppa, tanto quanto il salame e la spalla. Emerge la gola che si scioglie letteralmente in bocca e si sposa meravigliosamente con il pane di segale. L’ambiente è accogliente come il tinello (si, ho scritto proprio tinello) di una vecchia nonna, ispira chiacchiere e buone bevute, i titolari sono educati ma spicci e ti spiegano subito le regole del gioco: le bevande si vanno a prendere al bancone, il pane te lo tagli con le tue manine sante, gli antipasti sono self service. Inoltre l’Oste Magno è uno degli ormai rarissimo locali che,  oltre agli onnipresenti tortelli, offre piatti antichi, come la vecchia di cavallo (vi spiegherò un’altra volta cos’è) o il pesto.

Difetti: i tortelli son fatti in casa, ma surgelati. Ciò non deve stupire, mi scriva chi conosce tutt’ora ristoranti in cui lo chef si mette di buon’umore tutte le mattine alle 6 a far la pasta ripiena senza farla pagare cifre londinesi. Il problema è che il freddo dell’abbattimento rende fragili i tortelli e pone lo storico dilemma: cuocerli poco (come in questo caso) e mantenere la pasta troppo secca, o abbondare e rischiare che si rompano (horribile visu!!) vanificando un lavoro che richiede tempo e manualità? Non erano male, ma 8 euro per sei tortelli serviti sui piatti omaggio della Mulino Bianco (alcuni lo trovano irresistibilmente vintage) è francamente troppo.

La franchezza dei titolari attrae ma repelle allo stesso tempo: il teorico del “lavoro, guadagno, spendo pretendo” qui è meglio non metta piede.

La velocità del servizio è assolutamente indicata per un pranzo, ma non conciliabile con il Trimalchione che vede nella tavola un momento di convivialità da protrarsi per ore.

Sono uscito dall’Oste Magno ben nutrito e con l’impressione di non essere stato né maltratto né spennato: 50 euro in tre per un pranzo di sostanza sono spendibilissimi se rapportati all’inutilità dell’insalatona del bar sotto l’ufficio.

Consigliato per aperitivi rinforzati, pranzi con gli amici, nocini e grappe da seconda serata accompagnate da rock anni ‘60, sconsigliato ai senza spirito, ai lamentosi e agli indecisi.

Rural chic e suini neri: agriturismo la Longarola, Parma

24 Giu

 

Perché agriturismo? “Faccio dell’agriturismo” sarebbe corretto, ma non “vado in un agriturismo”. Vado in un agrituristico, questo si sarebbe grammaticalmente accettabile. Un luogo è turistico, non è turismo. O no?
Questo il dubbio ancestrale che mi perseguitava poche sere fa, dopo il quarto bicchiere di lambrusco biologico e la sesta zanzara (sempre biologica) che veniva a tormentarmi le caviglie ignude.

Agriturismo La Longarola, Lesignano dei Bagni, Parma. Luogo incantevole, edenico, a 20 minuti dal centro della città: circondato da prati punteggiati d’alberi da frutto un bel casale ti accoglie in un’atmosfera che alterna sensazioni bucoliche e molto “terrene” a una compiaciuta aura da comune anni ’70.

Tavolacci apparecchiati all’aperto in mezzo agli orti come fosse la sera del dì di festa, luminarie discrete e gradevoli, menù scritto alla lavagna, cicale e grilli urlano la loro gioia di una nuova estate. Non manca nemmeno un calciobalilla tra gli alberi e qualche poltrona per ammirare la luna. Molto bene, complimenti allo scenografo.

Salumi: eccellenti. Fin da quando gli spessi taglieri stanno per atterrare tra le nostre mani bramose, si rimane inebriati dal loro profumo. Salame nobile e stagionato alla perfezione, buono il prosciutto, grande la pancetta stagionatissima, profumata la spalla cotta. Si potrebbe morirne, accompagnandoli da fragranti panini caldi fatti in casa: la rapidità con cui scompaiono tra le fauci dei commensali ne testimoniano la bontà.

Primi: bene ma con un Ma. La mia (ma non solo) ottusa attaccatura alle ricette del territorio, avrebbe preteso tortelli di erbetta e ricotta, o di patate o persino d’ortica, ragion per cui son rimasto (colpa mia forse) un po’ deluso dalle scelte creative della cucina in merito ai primi.
Cappellacci fatti in casa alle erbe con basilico e pomodorini: delicati, buoni, ma avrei preferito una maggiore consistenza sia nella pasta che nel ripieno.
Tagliatelle con pesto alla siciliana rivisitato: ricetta gustosa, carica di sapori mediterranei, di capperi, acciughe, pomodori secchi. Buone, però mi si perde un po’ il senso dell’agriturismo e del chilometro zero, l’orto, la stalla, il biologico, il bue, l’asinello e le caprette no?

Sui secondi non mi pronuncio, ma ho visto interi piatti di spezzatino scivolare inesorabili verso una fine ineluttabile e nessun lamento da parte dei commensali.

Dolci: sempre fatti da loro, ho assaggiato la sbrisolona e devo dire che ci siamo.

Carta dei vini: tante le proposte di cantine del territorio poco conosciute, buoni i lambruschi bio, come la malvasia, il gutturnio fermo e le birre artigianali, 10 euro di media per una buona bottiglia.

 

Qualità prezzo: 30 euro per gli abbondanti antipasti, due primi, vini, caffè e grappa, sono a mio parere un onesto compromesso. Comprendo anche le difficoltà digestive dei crapuloni che hanno aggiunto al predetto anche un secondo e sono immediatamente dimagriti di 50 euro…

Vero è che siamo lontani dalle metropoli e dagli esorbitanti affitti dei centri storici, ma è anche vero che difficilmente la professione del ristoratore viene fatta per beneficienza e che il “fatto in casa”, mi dispiace per gli inguaribili romantici, lo si paga. A volte forse un po’ troppo.

 

Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna…

La Longarola

Strada Bassetta 13, 43037 Lesignano de’ Bagni

www.lalongarola.it

Tel. 0521 350520

Anolini, lessi e zuppa inglese. Leon d’Oro a Parma, ovvero, squadra che vince (da 95 anni) non si cambia.

17 Mag

Il Leon d’Oro è come uno di quei prozii anziani, bonari e un po’ pesanti che vedi con piacere quattro volte all’anno ma alla quinta ti fracassano i coglioni.
Non perché si mangi male, anzi, ma perché è un ristorante ideale in cui portare gli amici che arrivano da fuori Parma per introdurli alle delizie della cucina Emiliana.
Tutti rimangono entusiasti, perché il Leon d’Oro rappresenta veramente quello che gli “stranieri” si aspettano da Parma e questo lo rende un posto magico, se credete alla magia (a buon intenditor…).

Già il nome evoca antichi fasti di osterie per carrettieri e l’arredamento pesante contribuisce ad acuire la sensazione di essere nel passato.
Un passato glorioso, come testimoniano i Giuseppe Verdi, i Bertolucci e i Toscanini alle pareti (io c’avrei messo anche Matteo Cambi e Callisto Tanzi, così, per buttarla in caciara…) che pesa tutt’ora sulla cucina.
Al Leon d’Oro si viene per i salumi, affettati a mano in mezzo alla sala, buoni ma non eccezionali: una fetta di crudo, una di salame, una di spalla cotta bella spessa, lardo, coppa, pancetta e mortadella. E su quest’ultimo dettaglio mi girano un po’ le balle, perché la mortadella è di Bologna e a Parma non la si produce, ma tanto un visitatore difficilmente nota queste sottigliezze e quindi va bene così (più o meno). Di solito si sta sul classico lambrusco, ma la cantina è molto varia e non mancano interessanti alternative specialmente sui rossi.
Anolini in brodo (e non costringetemi a spiegare nuovamente di che stiamo parlando!): buoni. Ottimo il brodo, anche perché qui si preparano lessi quotidianamente e quindi….

Carrello degli arrosti: ci siamo. Una botta de vita. Ho visto uomini grandi e grossi implorare lacrimevoli “no, un’altra fetta di anatra no…”

Carrello dei bolliti: qui ci starebbe bene l’Aida come colonna sonora del trionfale ingresso in sala del gigantesco carrello in acciaio, sospinto dallo chef  tutto rubizzo e sorridente, ben conscio che la scena è tutta sua. Gallina, manzo, testina, picaglia, lingua e salse al prezzemolo, al pomodoro e alle verdure.

Concludiamo con un pezzetto di sbrisolona o una bella chilata di zuppa inglese? Ma perché no…

Ci sono altri piatti in menù? Dicono di si, pare che vengano serviti addirittura risotti e gnocchi, ma francamente preferisco isolare queste voci sediziose in un angolo recondito della mia mente.

Caffè, grappe, 40 euro a cranio e in un attimo ti ritrovi felice e gonfio come un batrace a ruttare via la nebbia di un freddo gennaio padano…

Parma. Alla ricerca dell’anolino perfetto: l’Osteria del Gesso

20 Apr

Lo so, nel titolo c’è già una contraddizione di fondo. Discutere sull’anolino perfetto è come discutere della natura del Cristo e cercare di quantificare in che percentuale fosse divino e in quale fosse umano… Insomma difficile trovare una risposta univoca e scientificamente comprovata.

Per cui accontentiamoci di indagare empiricamente per  indicarne alcuni dei migliori, una sorta di Oligarchia del Cappelletto che possa governare sovrana e imporre lezioni di gusto ai tanti mediocri che trascinano verso il fondo l’altissima reputazione della cucina parmigiana.

Numero 1: Osteria del Gesso a Parma.

Date le spalle alla statua di Garibaldi che campeggia in piazza, attraversatela, percorrete via Farini per circa 100 metri e girate alla terza viuzza a sinistra: via Maestri.
Da qui poche decine di metri ancora e sulla destra troverete l’Osteria del Gesso, uno dei pochissimi locali (e qui so che aprirò un dibattito notevole) del centro di Parma dove tuttora si mangia veramente bene la cucina parmigiana (e non solo). Penso che in molti possano concordare che buona parte dei locali storici si sia ampiamente svenduta al piattume gastronomico e alla banalità più esasperante, per paura che le ricette di un tempo scontentino i fini palati del popolo dell’happy hour, senza peraltro dimenticare di alzare i prezzi.
Detto ciò: salumi. Imprescindibili e immancabili. Eccellenti. La ricerca viene fatta solo da piccoli produttori del parmense: il salame come il culatello o il prosciutto sono sempre caratterizzati da stagionatura perfetta e da quell’armonia di sapori che contraddistingue i veri salumi del territorio, mai troppo salati ne speziati ne freschi.

Altrimenti tra gli antipasti abbiamo altre interessanti proposte che esulano dalla tradizione, ma che per questo non son certo da sottovalutare, come la Mousse di parmigiano in nuvola di pere e salsa al Porto rosso  (molto delicata) o il Fois-gras d’oca in terrina con crostino di pan brioches e composta di frutta che ha assolutamente un suo perché.

Ma veniamo al dunque, perché tutte le volte che entro al Gesso per 5 minuti sono sempre costretto a fare violenza su me stesso: bis di tortelli o cappelletti in brodo? Che sarebbe un po’ come chiedere a un padre di scegliere il migliore tra i suoi due figli o a un calciatore se vuole la velina bionda o la mora…

In generale tutti i primi sono ottimi e non è il caso di elencarli in questa sede dal momento che cambiano piuttosto spesso; ma la raffinata eccellenza del cappelletto spesso mi va a scalzare (specialmente in stagione invernale) la materica piacevolezza dei tortelli. Se questi ultimi sono ottimi ma hanno concorrenti illustri, vedi il già celebrato Voltone, sul cappelletto è doveroso riconoscere una maestria rara e antica.

Unico difetto: spesso una porzione non è sufficiente ad appagare gli stomaci robusti del sottoscritto e dei suoi affezionati…

Sui secondi sbizzarritevi pure: straccetti di cavallo, sella di maialino al forno, una tagliata veramente notevole… non c’è nulla che possa lasciare perplessi mentre parecchi piatti vi lasceranno soddisfatti.

Raramente posso permettermi di buttarmi anche su un dessert senza rischiare il ricovero, ma anche in questo settore non rimarrete delusi, sia che ordiniate una semplice sbrisolona o uno degli squisiti dolci al cucchiaio.

La cantina è assolutamente ricca di proposte di livello, come anche di vini del territorio qualitativamente buoni (come il lambrusco Torcularia o il Nebbia e Sabbia) ma e che possono contribuire a mantenere il conto su cifre entro i 40 euro. Ovviamente se ci si lascia tentare da vini importanti, come da una degli ottimi cognac o grappe barricate che occhieggiano dal mobile bar, il conto è destinato a salire.

Per il resto, l’indispensabile: due salette, di cui una a volta nel seminterrato, servizio cordiale a conduzione familiare, ambiente carino. Se andate durante il week end meglio prenotare.

Ho deciso, questa sera anolini.

www.osteriadelgesso.it

E finalmente l’Aurea Parma coi suoi tortelli d’erbetta… Trattoria Al Voltone

15 Apr

Una buona parte delle domeniche primaverili della mia infanzia emerge con il suo rotondo profumo di burro fuso e parmigiano che si univano in un amplesso aromatico volto a completare ed esaltare uno dei massimi sistemi gastronomici della mia terra natale: il tortello d’erbetta.

Ricotta, bietole lesse, uova e pasta sfoglia fatta in casa. Niente di trascendentale, ma quante varianti, quante discussioni tra “rezdore” (equivalente di massaie, dal latino “regitorem”)! Sfoglia più o meno ruvida, spessa o sottile, noce moscata quanta, ricotta di che qualità, quanto ripieno… Insomma, nel paese del campanilismo, dove ogni 5 km la ricetta cambia, parlare di tortelli rischia di provocare più polemiche dai tempi dell’esclusione di Baggio dalla nazionale.

Ma da qualche parte bisogna pur iniziare e ho deciso di partire dalla “bassa”, che per me nato sulla pedemontana, ha sempre mantenuto un fascino esotico e grottesco, coi suoi argini piopputi, le nutrie e le depressioni nebbiose da cui spunta talvolta un campanile disperso.

Soragna. Paesino simbolo per il culatello, a pochi chilometri da Zibello, il borgo abbraccia la sua rocca, tutt’ora abitata dal Principe Meli Lupi. Proprio lì di fronte, in via della Repubblica, c’è la Trattoria Al Voltone: mezzo bar di paese, mezza osteria. Due tavolini fuori sui ciottoli della via silenziosa, dieci metri dopo l’arco; dove finisce il paese e iniziano gli alberi.

Interno, diciamolo pure, bruttino: stessi mobili da 40 anni, foto ingiallite alle pareti, tavoli apparecchiati come a casa (casa senza pretese). Ma se mi permettete un paragone automobilistico, il Voltone è come un vecchio Defender: ciò che non c’è non si rompe e inoltre fa sempre il suo dovere.

Consigliabile partire con i salumi misti con torta fritta (telefonate prima, non la fanno tutti i giorni): tutti buoni, dal salame, al culatello, lo strolghino senza dimenticare la spalla.
Primi: molto buono il Savarin di riso (anche se non sale di prepotenza sul podio dei 3 migliori savarin della mia carriera di pantagruele… ma è tra i primi 5)

buoni i cappelletti ma eccezionali i tortelli d’erbetta: sfoglia ruvida e spessa quel tanto da resistere per un attimo ai denti, prima di rivelare un ripieno assolutamente ben bilanciato, matrimonio perfetto tra ricotta, erbette e parmigiano, il tutto cullato dal burro fuso (altro che i lindor…)

Inutile andare avanti, dopo provate pure la punta al forno, o il coniglio, ma il più è fatto. Tornerete a mangiare i tortelli.

Detto questo è doveroso citare anche la cortesia dei gestori e anche l’assoluta onestà del conto. Difficile superare i 30 euro. Per quanto riguarda i vini mi son sempre concentrato sul lambrusco del territorio, che nella bassa è particolarmente gradevole.

Per chiudere una fetta di sbrisolona e magari un bicchiere (quando c’è) di “Sburlò” l’ormai introvabile liquore di mele cotogne, così chiamato perchè ti da una leggera spinta…

Sono le 13.00, pax vobiscum

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