L’Osteria dello Zingaro è in uno dei borghi più belli di Parma, quello dedicato a uno dei due pittori più rappresentativi del valore artistico della “piccola Parigi” e che lì a due passi rese immortale la cupola di San Giovanni Evangelista: il Correggio. Due sale nel piano terra di un palazzo antico: forse un’antica carbonaia, o una rimessa, con belle volte a crociera e pilastri spessi. Arredamento sobrio e piacevole, un bel bancone all’ingresso dove ammirare tagli di carne equina e salumi odorosi di ricordi e tradizioni centenarie.
Ma andiamo al dunque: in una carta, lo premetto, poco adatta ai vegetariani, ci lanciamo decisi su piatti classici del territorio e ne siamo rimasti convinti. Culaccia veramente ottima (ricordo che la culaccia, o culatta come dicono i raffinati, non è culatello, ma lo stesso taglio di carne stagionato nella cotenna e non insaccato), tortelli d’erbetta fatti a mano, doviziosamente affogati nel burro e più che sufficientemente irrobustiti dal parmigiano. Tris di cavallo, con roast beef, pesto condito e tartare: un tripudio assolutamente rappresentativo del luogo, nettamente superiore alla poco significativa lonza di maiale con mele dall’aspetto Lufthansa ordinata dal mio commensale. Si, quei piatti che servono sulle linee aeree germaniche, perchè fanno international, ma non raccontano niente e sanno di meno. Lambrusco Nebbia & Sabbia, un neoclassico dell’enologia emiliana.
E, parafrasando l’Odio, “fino a qui tutto bene”. Ma veniamo alle note dolenti, purtroppo più numerose di quanto meriterebbe la cucina. Innanzitutto l’accoglienza: a un cliente prenotato, in orario perfetto, già potrebbe storcersi il deretano per un laconico “5 minuti per favore”, ma non sono il tipo. Se i 5 diventano 20 perlomeno offrire due fette di salame e un bicchiere di malvasia sarebbe indice di civiltà, ma forse è stata complice la distrazione dovuta al sottostante punto.