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STREEAT FOOD TRUCK FESTIVAL – MILANO

18 Set

street food truck festival (1)

C’era una volta l’ultima spiaggia per chi ai concerti, per strada o di notte veniva colto da languori irrefrenabili: il camioncino all’angolo della strada, il famigerato “puzzone”, patria di salamelle, piadine e porchette. Ora la musica è cambiata e anche il cibo stradaiolo guadagna un suo blasone: il food truck è infatti la nuova frontiera per portare on the road la cucina di qualità. Tanto da farne manifestazioni ad hoc e coinvolgere chef blasonati.

E dopo il successo della prima edizione, torna per il secondo appuntamento Streeat Food Truck Festival, iniziativa promossa da Barley Arts (firma storica dei più importanti eventi italiani), dal 26 al 28 settembre al Carroponte di Sesto San Giovanni, Milano.

Minivan, rimorchi, camioncini, carretti e apecar saranno nuovamente protagonisti di un evento di food truck e show cooking ad ingresso gratuito volto a diffondere su ruote la cucina italiana di qualità.

Gnocco fritto low cost: Isola Fiorita, ripa di porta ticinese, Milano.

19 Giu

Colpevolizzati dalla bilancia, piagati da intolleranze che i nostri nonni non avevano nemmeno sentito nominare, paralizzati dal terrore della “pesantezza”, i nostri gusti culinari sono, negli ultimi decenni, vigorosamente virati verso sensazioni palatali modaiole e anoressizzanti. Cucina con influssi thai, fusion, sushi… Roba che se confessi in certi ambienti di avere una passione per i lessi e gli stracotti ti guardano come avessi confessato una latente zoofilia…
Fatto sta che se tra di voi ci sono ancora persone “sane” che amano talvolta fare delle scorpacciate vere e senza pentimenti, bene, sappiate che esistono ancora ristoranti che uniscono porzioni gargantuesche a buona qualità e prezzi veramente interessanti. Anche in una grande città come Milano.
A poche centinaia di metri dai locali beverini e dal plastificato finger food  del Naviglio Grande, troviamo L’Isola Fiorita, da poco trasferitasi in questa nuova sede ma che mantiene una filosofia di molta sostanza senza troppi riguardi per la forma fine a se stessa.
Il locale è molto semplice, potremmo anche azzardare bruttino, ma se si viene qui con il giusto spirito non si resterà certo delusi.
Il menù è vario (ma non lo abbiamo testato): il vero punto di forza del locale è lo gnocco fritto con salumi e formaggi: quella che normalmente sarebbe una porzione per 3 persone qui ti viene servita con un sorrisetto di cortese sfida e “prendete qualcosa di primo poi?”.

Impossibile: dopo 8, 10 pezzi di gnocco fritto (nell’olio e non nello strutto, anche per rispetto ai vegetariani che possono richiederlo accompagnato da soli formaggi e verdure grigliate) imbottiti con prosciutto crudo (niente male), salame (non era certo il felino doc ma amen) coppa (buona), gorgonzola, stracchino, taleggio, peperoni e melanzane alla griglia anche i coraggiosi e gli impavidi hanno dei tentennamenti.

Il gentilissimo cameriere (con pronuncia stile Abatantuono prima maniera) sostiene di averne mangiati due piatti a pranzo. Vedendo lo spessore umano del soggetto potrei anche crederci, ma insomma…

Accompagnate il tutto con un’onesta bottiglia (fresca) di Malvasia dei colli piacentini e uscirete con quella piacevole sazietà senza rimorsi che si provava da bambini dopo un pranzo domenicale dalla nonna (30 anni fa le nonne milanesi non preparavano il sushi vero?).

20 euro a testa.

Alcuni  consigli:

1 per le fanciulle: evitate di andarci dopo una costosa ed estenuante seduta dal parrucchiere

2 mangiate con le mani. Quando si parla di salume, coltello e forchetta sono inutili orpelli buonisti

3 se siete soggetti ai sensi di colpa lasciate perdere

4 prendete il posto per quel che è! Se siete in cerca di un ristorantino romantico, del miglior risotto di Milano o di raffinatezze culinarie non è il posto adatto. Se invece volete provare qualcosa di diverso dalla pizzeria di quartiere e sfondarvi di gnocco fritto, fatevi sotto.

 

L’isola Fiorita

Ripa di Porta Ticinese 83
Milano
tel. 02 89402060

Anolini, lessi e zuppa inglese. Leon d’Oro a Parma, ovvero, squadra che vince (da 95 anni) non si cambia.

17 Mag

Il Leon d’Oro è come uno di quei prozii anziani, bonari e un po’ pesanti che vedi con piacere quattro volte all’anno ma alla quinta ti fracassano i coglioni.
Non perché si mangi male, anzi, ma perché è un ristorante ideale in cui portare gli amici che arrivano da fuori Parma per introdurli alle delizie della cucina Emiliana.
Tutti rimangono entusiasti, perché il Leon d’Oro rappresenta veramente quello che gli “stranieri” si aspettano da Parma e questo lo rende un posto magico, se credete alla magia (a buon intenditor…).

Già il nome evoca antichi fasti di osterie per carrettieri e l’arredamento pesante contribuisce ad acuire la sensazione di essere nel passato.
Un passato glorioso, come testimoniano i Giuseppe Verdi, i Bertolucci e i Toscanini alle pareti (io c’avrei messo anche Matteo Cambi e Callisto Tanzi, così, per buttarla in caciara…) che pesa tutt’ora sulla cucina.
Al Leon d’Oro si viene per i salumi, affettati a mano in mezzo alla sala, buoni ma non eccezionali: una fetta di crudo, una di salame, una di spalla cotta bella spessa, lardo, coppa, pancetta e mortadella. E su quest’ultimo dettaglio mi girano un po’ le balle, perché la mortadella è di Bologna e a Parma non la si produce, ma tanto un visitatore difficilmente nota queste sottigliezze e quindi va bene così (più o meno). Di solito si sta sul classico lambrusco, ma la cantina è molto varia e non mancano interessanti alternative specialmente sui rossi.
Anolini in brodo (e non costringetemi a spiegare nuovamente di che stiamo parlando!): buoni. Ottimo il brodo, anche perché qui si preparano lessi quotidianamente e quindi….

Carrello degli arrosti: ci siamo. Una botta de vita. Ho visto uomini grandi e grossi implorare lacrimevoli “no, un’altra fetta di anatra no…”

Carrello dei bolliti: qui ci starebbe bene l’Aida come colonna sonora del trionfale ingresso in sala del gigantesco carrello in acciaio, sospinto dallo chef  tutto rubizzo e sorridente, ben conscio che la scena è tutta sua. Gallina, manzo, testina, picaglia, lingua e salse al prezzemolo, al pomodoro e alle verdure.

Concludiamo con un pezzetto di sbrisolona o una bella chilata di zuppa inglese? Ma perché no…

Ci sono altri piatti in menù? Dicono di si, pare che vengano serviti addirittura risotti e gnocchi, ma francamente preferisco isolare queste voci sediziose in un angolo recondito della mia mente.

Caffè, grappe, 40 euro a cranio e in un attimo ti ritrovi felice e gonfio come un batrace a ruttare via la nebbia di un freddo gennaio padano…

Parma. Alla ricerca dell’anolino perfetto: l’Osteria del Gesso

20 Apr

Lo so, nel titolo c’è già una contraddizione di fondo. Discutere sull’anolino perfetto è come discutere della natura del Cristo e cercare di quantificare in che percentuale fosse divino e in quale fosse umano… Insomma difficile trovare una risposta univoca e scientificamente comprovata.

Per cui accontentiamoci di indagare empiricamente per  indicarne alcuni dei migliori, una sorta di Oligarchia del Cappelletto che possa governare sovrana e imporre lezioni di gusto ai tanti mediocri che trascinano verso il fondo l’altissima reputazione della cucina parmigiana.

Numero 1: Osteria del Gesso a Parma.

Date le spalle alla statua di Garibaldi che campeggia in piazza, attraversatela, percorrete via Farini per circa 100 metri e girate alla terza viuzza a sinistra: via Maestri.
Da qui poche decine di metri ancora e sulla destra troverete l’Osteria del Gesso, uno dei pochissimi locali (e qui so che aprirò un dibattito notevole) del centro di Parma dove tuttora si mangia veramente bene la cucina parmigiana (e non solo). Penso che in molti possano concordare che buona parte dei locali storici si sia ampiamente svenduta al piattume gastronomico e alla banalità più esasperante, per paura che le ricette di un tempo scontentino i fini palati del popolo dell’happy hour, senza peraltro dimenticare di alzare i prezzi.
Detto ciò: salumi. Imprescindibili e immancabili. Eccellenti. La ricerca viene fatta solo da piccoli produttori del parmense: il salame come il culatello o il prosciutto sono sempre caratterizzati da stagionatura perfetta e da quell’armonia di sapori che contraddistingue i veri salumi del territorio, mai troppo salati ne speziati ne freschi.

Altrimenti tra gli antipasti abbiamo altre interessanti proposte che esulano dalla tradizione, ma che per questo non son certo da sottovalutare, come la Mousse di parmigiano in nuvola di pere e salsa al Porto rosso  (molto delicata) o il Fois-gras d’oca in terrina con crostino di pan brioches e composta di frutta che ha assolutamente un suo perché.

Ma veniamo al dunque, perché tutte le volte che entro al Gesso per 5 minuti sono sempre costretto a fare violenza su me stesso: bis di tortelli o cappelletti in brodo? Che sarebbe un po’ come chiedere a un padre di scegliere il migliore tra i suoi due figli o a un calciatore se vuole la velina bionda o la mora…

In generale tutti i primi sono ottimi e non è il caso di elencarli in questa sede dal momento che cambiano piuttosto spesso; ma la raffinata eccellenza del cappelletto spesso mi va a scalzare (specialmente in stagione invernale) la materica piacevolezza dei tortelli. Se questi ultimi sono ottimi ma hanno concorrenti illustri, vedi il già celebrato Voltone, sul cappelletto è doveroso riconoscere una maestria rara e antica.

Unico difetto: spesso una porzione non è sufficiente ad appagare gli stomaci robusti del sottoscritto e dei suoi affezionati…

Sui secondi sbizzarritevi pure: straccetti di cavallo, sella di maialino al forno, una tagliata veramente notevole… non c’è nulla che possa lasciare perplessi mentre parecchi piatti vi lasceranno soddisfatti.

Raramente posso permettermi di buttarmi anche su un dessert senza rischiare il ricovero, ma anche in questo settore non rimarrete delusi, sia che ordiniate una semplice sbrisolona o uno degli squisiti dolci al cucchiaio.

La cantina è assolutamente ricca di proposte di livello, come anche di vini del territorio qualitativamente buoni (come il lambrusco Torcularia o il Nebbia e Sabbia) ma e che possono contribuire a mantenere il conto su cifre entro i 40 euro. Ovviamente se ci si lascia tentare da vini importanti, come da una degli ottimi cognac o grappe barricate che occhieggiano dal mobile bar, il conto è destinato a salire.

Per il resto, l’indispensabile: due salette, di cui una a volta nel seminterrato, servizio cordiale a conduzione familiare, ambiente carino. Se andate durante il week end meglio prenotare.

Ho deciso, questa sera anolini.

www.osteriadelgesso.it

E finalmente l’Aurea Parma coi suoi tortelli d’erbetta… Trattoria Al Voltone

15 Apr

Una buona parte delle domeniche primaverili della mia infanzia emerge con il suo rotondo profumo di burro fuso e parmigiano che si univano in un amplesso aromatico volto a completare ed esaltare uno dei massimi sistemi gastronomici della mia terra natale: il tortello d’erbetta.

Ricotta, bietole lesse, uova e pasta sfoglia fatta in casa. Niente di trascendentale, ma quante varianti, quante discussioni tra “rezdore” (equivalente di massaie, dal latino “regitorem”)! Sfoglia più o meno ruvida, spessa o sottile, noce moscata quanta, ricotta di che qualità, quanto ripieno… Insomma, nel paese del campanilismo, dove ogni 5 km la ricetta cambia, parlare di tortelli rischia di provocare più polemiche dai tempi dell’esclusione di Baggio dalla nazionale.

Ma da qualche parte bisogna pur iniziare e ho deciso di partire dalla “bassa”, che per me nato sulla pedemontana, ha sempre mantenuto un fascino esotico e grottesco, coi suoi argini piopputi, le nutrie e le depressioni nebbiose da cui spunta talvolta un campanile disperso.

Soragna. Paesino simbolo per il culatello, a pochi chilometri da Zibello, il borgo abbraccia la sua rocca, tutt’ora abitata dal Principe Meli Lupi. Proprio lì di fronte, in via della Repubblica, c’è la Trattoria Al Voltone: mezzo bar di paese, mezza osteria. Due tavolini fuori sui ciottoli della via silenziosa, dieci metri dopo l’arco; dove finisce il paese e iniziano gli alberi.

Interno, diciamolo pure, bruttino: stessi mobili da 40 anni, foto ingiallite alle pareti, tavoli apparecchiati come a casa (casa senza pretese). Ma se mi permettete un paragone automobilistico, il Voltone è come un vecchio Defender: ciò che non c’è non si rompe e inoltre fa sempre il suo dovere.

Consigliabile partire con i salumi misti con torta fritta (telefonate prima, non la fanno tutti i giorni): tutti buoni, dal salame, al culatello, lo strolghino senza dimenticare la spalla.
Primi: molto buono il Savarin di riso (anche se non sale di prepotenza sul podio dei 3 migliori savarin della mia carriera di pantagruele… ma è tra i primi 5)

buoni i cappelletti ma eccezionali i tortelli d’erbetta: sfoglia ruvida e spessa quel tanto da resistere per un attimo ai denti, prima di rivelare un ripieno assolutamente ben bilanciato, matrimonio perfetto tra ricotta, erbette e parmigiano, il tutto cullato dal burro fuso (altro che i lindor…)

Inutile andare avanti, dopo provate pure la punta al forno, o il coniglio, ma il più è fatto. Tornerete a mangiare i tortelli.

Detto questo è doveroso citare anche la cortesia dei gestori e anche l’assoluta onestà del conto. Difficile superare i 30 euro. Per quanto riguarda i vini mi son sempre concentrato sul lambrusco del territorio, che nella bassa è particolarmente gradevole.

Per chiudere una fetta di sbrisolona e magari un bicchiere (quando c’è) di “Sburlò” l’ormai introvabile liquore di mele cotogne, così chiamato perchè ti da una leggera spinta…

Sono le 13.00, pax vobiscum

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