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Caffè delle Passioni, Modena: il bohémien che non ti aspetti.

13 Set

Metti una cena in trasferta a casa di un amico e il tempo piovigginoso, mettici pure la prematura ultima goccia di vino ed ecco che la città si trasforma in un posto esotico da esplorare con attenzione e sguardo curioso.

Così arrivi al Caffè delle Passioni, Modena, zona ex-industriale dal fascino vagamente inquietante ma totalmente in via di recupero.

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Punto di forza del locale è l’ampio spazio esterno con tavolini in legno e ferro, ombrelloni, lanterne in carta, barattoli liberati dalla marmellata per diventare portacandele, tappeti di puro sacco di juta (una volta contenenti caffè brasiliano), pouf in tessuto e grandi cuscini a terra. Un insieme altamente creativo che trasmette subito accoglienza.

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Gli interni poi sfruttano bene il grande spazio dai soffitti alti e danno vita all’arredamento bohémien e di recupero in un mix che contraddistingue questo locale, riuscito e ben amalgamato.

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Lampadari in cristallo, divanetti e divani consumati dal tempo, tappeti, seggiole e poltroncine molto chic e molto vintage, tavoli ricavati da vecchissime assi, librerie cariche di riviste e titoli interessanti a disposizione. C’è tutto per una totale declinazione di un minuzioso manuale di interior design, assai attuale.

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Al Caffè delle Passioni si passa il tempo piacevolmente, accompagnati da una selezione musicale doc ma anche da concerti live e si può mangiare piatti originali, con quel pizzico di creatività in più. Noi abbiamo solo bevuto qualcosa dopo cena ma il posto ci è piaciuto molto. Si vede e si percepisce che nasce da una vera passione.

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Via Carlo Sigonio, 382, Modena

tel. 366/9276018 – caffedellepassioni@gmail.com

dal mercoledì alla domenica, 17.30/1.00

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Nei dintorni

il Duomo, esempio di romanico riccamente decorato e molto ben conservato, La Ghirlandina, torre campanaria e simbolo della città, Piazza Grande (tutti inseriti nella lista UNESCO come patrimonio dell’Umanità), il Palazzo Ducale, sede della prestigiosa Accademia Militare di Modena, la Porta della Pescheria sulla Via Emilia.

Pescheria San Gervasio, la Bologna che (r)esiste.

25 Ago

Evitando le buche più dure e saltellando a zig-zag tra gli immensi lavori del “cantierone” di Via Ugo Bassi ci si imbatte nel Mercato delle Erbe. Una bella struttura ricavata dalla vecchia caserma di San Gervasio sulla pianta dell’antica chiesa dei S.S. Gervasio e Protasio, attualmente rianimata da diverse botteghe dotate anche di cucina.

Ma per l’assolata giornata estiva che esigeva posti all’aperto e per le proposte del menù e l’accogliente dehors, la nostra attenzione è stata richiamata dalla Pescheria San Gervasio, proprio adiacente al mercato.

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In cima a qualche scalino consunto e sotto un bel portico, uno dei tanti suggestivi della città, arrampicati sugli sgabelli e circondati dall’operoso andirivieni dell’antistante mercato ci siamo concessi un aperitivo in calice gentilmente accompagnato da qualche tapas in bicchierino, alici sott’olio (buonissime), mini peperoni ripieni e tocchetti di feta condita.

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L’interessante carta dei vini e il menù di fresco del giorno hanno fatto il resto, convincendoci di rimanere anche per il pranzo.

Assistiti dai modi schietti e decisi della titolare, occhi chiari e profondi che non permettono di titubare, abbiamo fatto la nostra rapida e convinta scelta. E per fortuna, dal momento che il locale si è riempito subito, animandosi di “comande” e chiacchiericci rilassati del sabato mattina.

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Alici fritte, appena infarinate e tuffate nell’olio bollente, croccanti e freschissime come le deliziose polpettine di pesce.

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Guazzetto di polpo con cous cous dal gusto deciso ottenuto senza inutili aggiunte di sapori, piatto appena appena un po’ asciutto ma assolutamente genuino e gradevole. Polpo alla gallega, piccante e tenero su un consistente letto di patate lesse, così come vuole la tradizione galiziana. D’accompagnamento verdure alla griglia e una bottiglia ben consigliata di Rosè Negroamaro L’Astore, servito freddo alla perfezione.

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polpo alla gallega

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guazzetto di polpo e cous cous

Cucina fresca e semplice, materie prime di qualità, buon vino, servizio pronto e cordiale. Aperitivo con tapas, cinque portate e un’ottima bottiglia di vino, circa 35 euro a testa. Palato e umore pienamente soddisfatti.

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Pescheria San Gervasio, Via Belvedere 13/d

tel. 051.262189

chiuso domenica e lunedì

www.pescheriasangervasio.it

facebook

Nei dintorni:

il Mercato delle Erbe, i portici del centro, un notevole dipinto di Ludovico Carracci nella Chiesa dei Filippini di Via Manzoni, il magnifico Voltone del Podestà su Piazza Maggiore.

Parma, Osteria dello Zingaro. La zappa sui piedi.

16 Mar

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L’Osteria dello Zingaro è in uno dei borghi più belli di Parma, quello dedicato a uno dei due pittori più rappresentativi del valore artistico della “piccola Parigi” e che lì a due passi rese immortale la cupola di San Giovanni Evangelista: il Correggio. Due sale nel piano terra di un palazzo antico: forse un’antica carbonaia, o una rimessa, con belle volte a crociera e pilastri spessi. Arredamento sobrio e piacevole, un bel bancone all’ingresso dove ammirare tagli di carne equina e salumi odorosi di ricordi e tradizioni centenarie.

Ma andiamo al dunque: in una carta, lo premetto, poco adatta ai vegetariani, ci lanciamo decisi su piatti classici del territorio e ne siamo rimasti convinti. Culaccia veramente ottima (ricordo che la culaccia, o culatta come dicono i raffinati, non è culatello, ma lo stesso taglio di carne stagionato nella cotenna e non insaccato), tortelli d’erbetta fatti a mano, doviziosamente affogati nel burro e più che sufficientemente irrobustiti dal parmigiano. Tris di cavallo, con roast beef, pesto condito e tartare: un tripudio assolutamente rappresentativo del luogo, nettamente superiore alla poco significativa lonza di maiale con mele dall’aspetto Lufthansa ordinata dal mio commensale. Si, quei piatti che servono sulle linee aeree germaniche, perchè fanno international, ma non raccontano niente e sanno di meno. Lambrusco Nebbia & Sabbia, un neoclassico dell’enologia emiliana.

E, parafrasando l’Odio, “fino a qui tutto bene”. Ma veniamo alle note dolenti, purtroppo più numerose di quanto meriterebbe la cucina. Innanzitutto l’accoglienza: a un cliente prenotato, in orario perfetto, già potrebbe storcersi il deretano per un laconico “5 minuti per favore”, ma non sono il tipo. Se i 5 diventano 20 perlomeno offrire due fette di salame e un bicchiere di malvasia sarebbe indice di civiltà, ma forse è stata complice la distrazione dovuta al sottostante punto.

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Parma low cost: il “Battibecco”, anolini e lambrusco di periferia

29 Dic
img: tripadvisor.it

img: tripadvisor.it

Il Battibecco, in via Lanfranco, è un locale piuttosto anomalo nella tanto celebrata (ormai purtroppo a sproposito) tradizione culinaria parmigiana: lontano dal centro storico, quasi ghettizzato in una poco piacevole strada di un ex quartiere artigianale, propone i classici senza essere integralista e, soprattutto, a prezzi che normalmente si trovano solo in provincia.

Negli anni ’90 era un noto locale, il “Tube”, ora, dove prima viaggiavano i piatti dei Dj, si posano piatti di anolini in brodo (ottimi), tortelli e polpette di cavallo, oltre alla specialità della casa, la tagliata con patate. Ambiente particolare: tanto anonimo l’esterno quanto caloroso l’interno, disseminato di Giuseppe Verdi, tovaglie a quadri, tavolacci, poltronacce, sediacce e parolacce. L’ampiezza della sala principale lo rende particolarmente adatto a nutrite “sedute” con amici che quando poi gli animi son riscaldati dal brodo e dal vino, si sa che la conversazione s’accende e la coppietta romantica nell’angolo rischia di venir sommersa dalle risate.

Servizio puntuale e volenteroso, vista la moltitudine affamata del week end: talvolta si aspetta un pochino ma non si viene mai abbandonati. La cucina è generosamente sopra la media del centro, specialmente visto il rapporto qualità prezzo: ma attenzione ai facili entusiasmi, nulla è gratis (a buon intenditor: antipasto, primo, secondo, dolce, caffé… non costano 25 euro). Continua a leggere

Parma: Osteria “La Gatta Matta”, la sperimentazione sfida la tradizione

25 Set

Partirei con il dire che la Gatta Matta si propone come un coraggioso angolo di sperimentazione nel cuore di Parma. Un bell’azzardo aggiungerei. Siamo nella terra degli integralismi gastronomici, ci sono quelli che girano con il calibro in tasca per misurare lo spessore della pasta dei tortelli, quelli che con la coda dell’occhio sono in grado di dirti se i cappelletti sono stati cotti surgelati o freschi, c’è chi in base alla ruvidità del tortello ti sa dire se la pasta è stata tirata a mano oppure a macchina. C’è poi chi finge di capirne, ma comunque sbraita ugualmente, che si sa, siamo un popolo di allenatori, anche in cucina.

La proposta di questa osteria, pur concedendosi ai “caplét” ai tortelli d’erbetta e zucca, si insinua nei dettami gastronomici del territorio e, piegandoli a suo favore, li contamina con guizzi creativi e gusto per gli abbinamenti insoliti. Oltre che matta questa gatta ha del coraggio nel proporre piatti con fantasia e sensibilità davvero speciale, attingendo dal territorio ma anche ispirandosi fortemente a trasgressioni culinarie in un territorio in cui si tiene, e tanto, alla tradizione. E qualche rischio di non essere compresi, in questa terra di Hezbollah culinari, lo si corre.

A due passi dalle sfilate etiliche di via Farini ma ben riparata dalla quiete della piazza dedicata a San Francesco, La Gatta Matta è raccolta e accogliente. Gli interni hanno un’aria vagamente francofona e c’è un quid, nell’ambiente e negli arredi che ricordano un bistrot della rive gauche (e non è forse questa la “Petit Paris”?)

Nella stagione calda i tavolini esterni circondati da cespugli di lavanda e riparati da ruvidi tendaggi, rinfrancano il passante in fuga dal tamarrume di via Cavour. Nelle vettovaglie di melamina in fantasie scompagnate e le lanterne arrampicate sui muri, nel recupero vintage di piccoli contenitori in latta “anteguerra” ad uso posacenere o portacandela si respira un gusto attento del dettaglio che però, tutto sommato, proprio di poco non sfiora l’artificio. Ma ci sta, è un posto gradevole tanto più che la vera sorpresa è nella proposta dei piatti (pochi e ben studiati) che cambia continuamente. Non nell’apparecchiatura ma nel menù si trova infatti la voglia di spostare i paletti tra i fornelli.

Abbiamo provato:

Polpettine fritte di baccalà su crema di sedano: leggere e dal gusto delicato. Talmente delicato, però che non sembrava nemmeno baccalà.

Crumble di verdure con salsa fresca di yogurt: peperoni, zucchine, capperi in croccante gratin che trovano un indovinato incontro con il gusto acidulo della salsa.

Passatelli con zucca, porcini e crema di formaggio di malga: versione asciutta dei passatelli, ottimo connubio di ingredienti, peccato solo che i porcini fossero poco profumati.

Gnocchi con vongole e scaglie di bottarga: un solo difetto, talmente buoni, leggeri e ben mantecati che se ne mangerebbe tranquillamente il doppio.

Ottimo spumante rosè di lambrusco

Non ci siamo spinti ai dolci che, almeno su carta, ispirano sincera fiducia.

Personale affabile, menù ricco di sorprese, una divagazione piena e voluta alla tradizionale (ma piena di sfumature!) offerta del Ducato… Dispiace però dover rilevare che a cotanto spirito non corrisponda la generosità delle porzioni e che il conto proprio per questo motivo possa risultare un tantino elevato.

Consigliato a chi abbia voglia di prendersi una pausa con mood da esploratore, meno a chi va di fretta e abbia solo voglia di riempirsi lo stomaco.

Prezzi: sa partire dai 35 euro, in base al menù descritto

Osteria Gatta Matta

Borgo degli Studi, 9/A – 43100 Parma

0521.231475

Aperto a pranzo e cena (estate solo cena), chiuso domenica e lunedì

Parma: osteria Oste Magno. Tortelli, lambrusco e la Rivoluzione…

23 Set

 

Parma, borgo Angelo Mazza, carrugio che dal clamore pomeridiano di via Cavour instrada il passante verso la bellezza classica del Teatro Regio. Qui sorge, sulle ceneri del fangoso bar Ernesto, l’Oste Magno, esperimento gastronomico e sociale unico per Parma, ma non necessariamente riuscito, sempre che ci fosse alla base un piano.

Dilungarsi sulle implicazioni sociali di un locale che affonda le sue radici nello spirito post sessantottino dei due titolari, permeato però di tradizione parmigiana e con scorci internazionali (sti?) richiederebbe un pamphlet di un centinaio di pagine per cui limitiamoci a dire che qui i poster di Che Guevara anticati osservano benevolmente i tortelli d’erbetta e i taglieri di spalla cotta trangugiati con dovizia da una clientela un po’ radical ma eterogenea, che abbraccia lo studente in cerca del panino giusto (volutamente contrapposto al Panino Ingiusto di Milano), il fotografo dilettante e “l’omet” con coppola amante del lambrusco e dell’ultima pagina della Gazzetta (di Parma, quella dei necrologi).

Pregi: locale onesto, che non finge. Dalla vetrina si evince che l’Oste Magno non offre ricercatezza o grandi esperienze gastronomiche, ma sostanza, celerità e qualità a prezzi non elevati. Il lambrusco è, nero, corposo e si beve a consumo: se non finisci la boccia ti scalano dal conto i bicchieri non bevuti, l’acqua è gratuita, non si paga il coperto. Il salume è buono, sia il prosciutto, che la coppa, tanto quanto il salame e la spalla. Emerge la gola che si scioglie letteralmente in bocca e si sposa meravigliosamente con il pane di segale. L’ambiente è accogliente come il tinello (si, ho scritto proprio tinello) di una vecchia nonna, ispira chiacchiere e buone bevute, i titolari sono educati ma spicci e ti spiegano subito le regole del gioco: le bevande si vanno a prendere al bancone, il pane te lo tagli con le tue manine sante, gli antipasti sono self service. Inoltre l’Oste Magno è uno degli ormai rarissimo locali che,  oltre agli onnipresenti tortelli, offre piatti antichi, come la vecchia di cavallo (vi spiegherò un’altra volta cos’è) o il pesto.

Difetti: i tortelli son fatti in casa, ma surgelati. Ciò non deve stupire, mi scriva chi conosce tutt’ora ristoranti in cui lo chef si mette di buon’umore tutte le mattine alle 6 a far la pasta ripiena senza farla pagare cifre londinesi. Il problema è che il freddo dell’abbattimento rende fragili i tortelli e pone lo storico dilemma: cuocerli poco (come in questo caso) e mantenere la pasta troppo secca, o abbondare e rischiare che si rompano (horribile visu!!) vanificando un lavoro che richiede tempo e manualità? Non erano male, ma 8 euro per sei tortelli serviti sui piatti omaggio della Mulino Bianco (alcuni lo trovano irresistibilmente vintage) è francamente troppo.

La franchezza dei titolari attrae ma repelle allo stesso tempo: il teorico del “lavoro, guadagno, spendo pretendo” qui è meglio non metta piede.

La velocità del servizio è assolutamente indicata per un pranzo, ma non conciliabile con il Trimalchione che vede nella tavola un momento di convivialità da protrarsi per ore.

Sono uscito dall’Oste Magno ben nutrito e con l’impressione di non essere stato né maltratto né spennato: 50 euro in tre per un pranzo di sostanza sono spendibilissimi se rapportati all’inutilità dell’insalatona del bar sotto l’ufficio.

Consigliato per aperitivi rinforzati, pranzi con gli amici, nocini e grappe da seconda serata accompagnate da rock anni ‘60, sconsigliato ai senza spirito, ai lamentosi e agli indecisi.

Imola: trattoria “E Parlaminté”, tagliatelle al ragù, sangiovese e grandi amarcord.

12 Set

Siamo a Imola, dove il Tempio della Velocità, l’autodromo Enzo Ferrari e i suoi fantasmi convivono con lo splendido Duomo dedicato a San Cassiano e i palazzi secenteschi dell’intellighenzia pontificia si perdono tra portici e vicoletti. In uno di questi si cela “E’ Parlaminté”, storica trattoria che trae il suo nome (il Parlamentino, appunto) dalle “cattive” frequentazioni anarchiche e socialiste della fine dell’800, quando qui si venivano a stilare manifesti programmatici infuocati dal sangiovese.

La famiglia Dal Monte ha aperto la trattoria nel 1985 e nel ’97 ha deciso di ridare al locale il suo antico aspetto, riportando alla luce i travi antichi e arredandolo con mobili di inizio ‘900: un ambiente piccolo, un ambiente intimo, dove si possono ancora percepire gli echi di furibonde partite a carte e l’aroma dei toscani che affumicavano le pareti.

Culatello, lardo di Dozza, patè di fegatini di pollo con piadina e poi gramigna alla salsiccia, tagliatelle al ragù, tortellini in brodo e costine di castrato: un piccolo mondo antico che percuote con la tradizione i modernismi inutili. La pasta fatta a mano è deliziosa: giusta consistenza e porosità permettono alle tagliatelle di legarsi all’ottimo ragù in un abbraccio che lascia soddisfatto il palato.

Ottime anche le costine di castrato con patate: tenero, polposo e ben cotto, un piatto da 8 che si becca un 7 per le patate al forno, riscaldate si, ma forse un po’ vecchiotte.

Interessante la matriciana di mare, con dadolata di tonno affumicato a sostituire il guanciale e gamberetti. L’ho assaggiata e non mi è dispiaciuta, ma sono un purista della tradizione e questi son piatti che lascio ai giovani coraggiosi.

Vini: Pignoletto e Sangiovese in caraffa. Discreti entrambi e a prezzi onesti, ci hanno accompagnato durante la serata senza far rimpiangere le etichette blasonate che decorano la cantina.

Caffè, ruhm Zacapa e tante chiacchiere attorno al tavolo con i due chef (padre e figlio) e la signora Dal Monte, a ripensare a quando Ivan Capelli andava lì a mangiare la gramigna e “l’Ayrton” infiammava le tribune.

33 euro pro capite, direi che vale una gita e mannaggia alla mia testa quando ho scordato la macchina fotografica

www.eparlaminte.it

Via Mameli, 33
40026- Imola (BO)
Tel. 0542.30144
E-mail: info@eparlaminte.it

Fuori Casello, parte II: “La Siesta”, Riccione

9 Lug

Se l’Italia è un’espressione geografica, la Romagna è una delle sue più autorevoli espressioni gastronomiche. Un bel giorno, arrancando sulla A14 dalle Marche verso Milano e accorgendosi, che la Fatidica Ora (le 13.00) s’andava approssimando, una mia gentile collega propose di fermarsi al Road House Grill prima del casello a mangiare un hamburger. Essendo veri gentleman non la defenestrammo dall’auto in corsa, ma ci limitammo a uscire a Cattolica per andare in un altro (leggetevi la recensione di “Al Sgnadur”) Cult delle soste fuori casello.

Ristorante “La Siesta”, sito tra Riccione e Misano in un punto di quel lungomare infinito e della sua teoria d’ombrelloni, tanga, piadine e locali che da Rimini arriva sudato e sorridente fin giù a Gabicce e le Marche: una grossa capanna con tavoli in legno all’ingresso  del camping Adria, poco più in la il bar Porky’s, tutt’attorno tedeschi ustionati che sciabattano senza meta. Roba durissima.

Entrate e fatevi redarguire (sicuramente avrete parcheggiato male la macchina o sarà troppo presto o non avrete prenotato) da una delle cameriere gentilissime ma molto spicce: sedetevi al tavolo e ordinate “un rimorchio” per ogni due, tre abitanti del tavolo. Vino bianco della casa e patate fritte.

E’ tutto quello che dovete sapere: stiamo parlando di un titanico tagliere di pesce grigliato e fritto con patate. C’è ovviamente una ricca carta con svariati piatti prevalentemente di mare, ma lasciate perdere: per un Fuori Casello come si deve, il rimorchio è quello che ci vuole: mazzancolle, gamberi, alici, seppie, scorfano, rombo, sogliola etc etc. Qualità non eccelsa, ma rapporto quantità prezzo ottimale. 20, 25 euro, a meno che non vi lasciate tentare dai crudi, gli astici e da tutte le altre follie che, a mio parere, stonano con un locale incastonato tra un campeggio germanofono e la sciccheria del bar Porky’s…

Finito il rimorchio potete bere un sorbetto, attraversare la strada e osservare quel mare sabbioso colmo di corpi che fu  tanto caro a Fellini; prima di rimettervi in viaggio e chiedervi qual’è il segreto di un posto tanto brutto e tanto affascinante.

Ristorante La Siesta 

Viale Torino, 80, 47838 Riccione, Italia

 +39 0541616431 

Attenzione: chiuso in inverno!

Fuori Casello. La salvezza nella terra degli Uomini Pesce: Trattoria Al Sgnadur, Ferrara

5 Lug

Estate, autostrada, code. Il viaggio d’andata un’eneide (verso l’ignoto), il ritorno un’odissea (verso casa, magari con la prospettiva che sia saltata la luce e i polli nel freezer abbiano ripreso vita), gli autogrill caravanserragli dove nulla è reale ma tutto è purtroppo vero, dagli anziani cianotici che comprano coppe piacentine a Battipaglia ai camionisti rumeni che fanno scorta di mozzarelle di bufala a Somaglia est.

Meglio, se si può, prendersela con calma e programmare tappe ben calibrate. Questa potrebbe essere la salvezza di quei tanti che transiteranno verso la Romagna dal veneto o dal centro sud in direzione Slovenia  e Croazia. A due chilometri dall’uscita Ferrara sud c’è una frazioncina che si chiama Poggio Renatico (così, tanto poi il navigatore vi sfanculizza e dovete chiamare il ristorante), nebbiosa d’inverno, torrida d’estate, umida sempre.

Qui troviamo Al Sgnadur (il Mattarello), ristorante pizzeria dalle mille sorprese. L’esterno è, senza offesa, orribile, vecchia casa di campagna bisognosa di cure. L’interno è “composito”: ma è troppo faticoso descriverlo e poi d’estate non ci si bada. Abbacinati dal caldo si segue docili uno dei camerieri 36 denti che vi accoglie con gentili salamelecchi, verso un grazioso e verdeggiante cortile interno con una dozzina di tavoli. Menù ricco e articolato specializzato sul piatti di pesce e della tradizione ferrarese, la pizza la lasciamo ai bambini e agli ignavi.

Alici fritte: gradito entrée offerto dalla casa. Veramente ottime, leggere e croccanti.

Salumi misti con pinzini: grande piatto estivo, in pratica lardo, prosciutto e salami freschi serviti con la versione locale del gnocco fritto. Solo per duri e puri, ne vale la pena.

Caplaz (cappellacci) alla zucca: grandi, in tutti i sensi. Un piatto che sazierebbe un orso, ottima la pasta fatta in casa, buono il ripieno ma quasi stucchevole, a mio parere, per un eccesso di ricotta a discapito della zucca.

Un bicchiere di vino della casa a testa (dovete guidare!), caffè: 20 euro e poi via verso le agognate vacanze, pronti per una bella congestione.

NB

Non abbiamo potuto prendere la Frittura Imperiale perché eravamo solo in due, ma questi miei occhi hanno visto transitare vassoi di pesce impanato grossi come i semiarticolati che viaggiano sull’A1. Se andate provatela.

I camerieri sono di una gentilezza quasi caricaturale e meritano una mancia.

Di seguito il link al sito web, che però tanto non è attivo, chiamate che è meglio, così potete anche farvi spiegare la strada, onde evitare di vagare per la bassa assolata e imbattersi in creature degne della penna di Lovecraft…

Al Sgnadur

Chiuso Lunedì e Martedì

Via Coronella, 78 – Chiesuol del Fosso
44100 – Poggio renatico (FE)

tel: 0532.978396

www.sgnadur.it/

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